Poche parole vengono pronunciate con tanta frequenza da politici e imprenditori quanto innovazione. Eppure, c’è la sensazione che questa parola venga talvolta usata in maniera impropria, più con lo scopo di sventolare una bandiera vincente, quella dell’innovatore, che non di apportare dei benefici effettivi e concreti nella vita dei cittadini-consumatori.
Non dimentichiamoci infatti che l’innovazione investe molteplici settori di interesse sociale che beneficerebbero senza dubbio di una modernizzazione di processi e servizi come la scuola, il lavoro, la sanità e i trasporti.
Ciascuno di noi dovrebbe chiedersi: i risultati raggiunti nel nome dell’innovazione tecnologica e sociale sono nel mio interesse? A che cosa serve e come incide l’innovazione sul futuro della società? Per rispondere a queste domande dobbiamo fare un passo indietro. È una parola così inflazionata che abbiamo perso di vista il suo reale significato.
Dunque, partiamo proprio da qui: qual è la corretta definizione di “innovazione”?
Sfatiamo un mito: “innovazione” è molto più che invenzione
La definizione del vocabolario Treccani è:
“Ogni novità, mutamento, trasformazione che modifichi radicalmente o provochi comunque un efficace svecchiamento in un ordinamento politico o sociale, in un metodo di produzione, in una tecnica.”
Non si può parlare di innovazione senza nominare Joseph Schumpeter, l’economista austriaco al quale dobbiamo alcune delle riflessioni più lucide su questo argomento. Per Schumpeter “Non è imprenditore […] chi compie operazioni economiche, intendendo lucrarne profitto, bensì colui che introduce atti innovativi”. Compie un atto innovativo chiunque riesca a trasformare un’idea in qualcosa (un bene, un servizio, un processo, un metodo) di pratico e concreto che genera valore sul mercato.
Innovare significa, prima di tutto, generare un cambiamento: per esempio creare prodotti nuovi, riqualificare i già esistenti oppure mettere in scena strategie nuove per risolvere problemi antichi. A prescindere dall’ambito di applicazione, lo scopo dell’innovazione dovrebbe essere quello di creare valore per i soggetti che usufruiscono di queste innovazioni: noi, i consumatori. Siamo noi, infatti, a decretare l’efficacia di un bene innovativo con le nostre scelte d’acquisto e di fruizione.
Che cosa serve per essere un vero innovatore?
La nascita negli ultimi anni di tante realtà innovative spinge molti a chiedersi: come si fa a costituire una start up innovativa? Quali competenze occorre avere per diventare un “Innovation manager”? Ti diamo 3 consigli per fare la differenza nell’universo dell’innovazione tecnologica, sociale e digitale.
- Adotta una visione strategica: per anticipare gli altri devi prima di tutto conoscere a 360° il mercato e le tendenze del settore nel quale operi. Senza la conoscenza, non c’è innovazione.
- Sii un leader: ispira le persone che ti circondano e guidale verso il cambiamento. Motivale e incoraggiale, solo così ti seguiranno.
- Non perdere creatività e curiosità: non fossilizzarti sulle tue opinioni, ma continua a mettere in discussione te stesso e le tue idee.
L’innovazione è cambiamento, il cambiamento è sopravvivenza
Come abbiamo visto, fare innovazione non significa semplicemente creare prodotti, servizi o tecnologie nuove. Fare innovazione significa usare queste invenzioni come punto di partenza per ridisegnare la realtà: o si innova, o si resta tagliati fuori da un mondo che deve sempre fare i conti con esigenze nuove.
L’innovazione è alla base della sopravvivenza proprio perché senza cambiamento non c’è sviluppo, e senza sviluppo è difficile adattarsi alle nuove sfide sociali ed economiche che la storia ci presenta (per ulteriori spunti puoi leggere questo articolo).
La strada per l’innovazione è disseminata di rischi e opportunità: la chiave per distinguersi è intraprenderla senza perdere di vista la meta, pronti a virare per rispondere ai cambiamenti e ai bisogni di chi ci aspetta alla fine del tragitto.