Sostenibilità

Che cos'è il mining di criptovalute e quanta energia consuma?

Carmine Russomando

Bitcoin è soltanto una delle oltre 4,000 criptovalute attualmente in commercio basate sulla tecnologia della blockchain. Questo articolo intende approfondire un aspetto finora poco trattato: il consumo energetico dei bitcoin.

Che cos'è il mining e come funziona

Per emettere moneta, le criptovalute utilizzano un sistema chiamato mining. Il mining consiste nella risoluzione di complessi problemi matematici necessari alla validazione di ogni transazione che avviene sulla blockchain.

Per questo servizio il miner viene ricompensato con un nuovo token (gettone) della criptovaluta: il gettone viene “scoperto” dal minatore, così come una pepita d’oro viene estratta da un minatore.

Chi può diventare un miner?

La blockchain è completamente decentralizzata e tutti gli utenti possono teoricamente essere minatori. Nella pratica, però, il mining richiede un alto costo computazionale e sono dunque necessari hardware sempre più performanti: si è passati dalle CPU alle GPU per poi arrivare agli ASIC.

Data la rapida espansione del mercato delle criptovalute, società e gruppi di individui stanno investendo crescenti capitali nella creazione delle mining farm, strutture contenenti centinaia di computer specializzati nel mining di bitcoin.

Quanto consumano le mining farm?

Le mining farm sono fortemente energivore e contribuiscono all’emissione di gas serra: la quantità di CO2 immessa in atmosfera dipende dalle modalità di generazione dell’energia elettrica, quindi varia da Paese a Paese. Le mining farm sono paragonabili a grandi aziende manifatturiere, quindi costituiscono un problema per la stabilità della rete elettrica.

Nel giugno del 2020 il governo dello Yunnan in Cina ha ordinato la chiusura di 64 operazioni di mining a causa dei collegamenti non autorizzati con le centrali idroelettriche locali. Si aggiungono poi il rischio di incendio (in caso di insufficiente dissipazione del calore generato dai computer) e quello di manomissioni del sistema elettrico, come nel caso di una chiesa evangelica di Irkutsk in Russia.

L’ingente fabbisogno elettrico è dovuto a due fattori:

  • il funzionamento dei circuiti integrati
  • la refrigerazione necessaria ad evitare il danneggiamento dei computer

Quanta energia consumano i Bitcoin?

Secondo l’Università di Cambridge, il mining dei bitcoin consuma approssimativamente 130 TWh di energia elettrica, che corrispondono allo 0.6% del fabbisogno globale, più di Paesi come Svezia, Argentina ed Emirati Arabi Uniti.

Uno studio dell’Università di Hunan ha stimato che nel 2018 il fabbisogno elettrico di un’altra criptovaluta, il Monero, è stato di circa 646 GWh; il 5% è attribuibile alla Cina e ha causato l’immissione in atmosfera di 19,000 tonnellate di CO2.

Nonostante i più recenti hardware richiedano soltanto 1 W per garantire una frequenza di calcolo di 1 Gigahash al secondo (1 miliardo di operazioni al secondo), i consumi elettrici sono considerevoli.

Il consumo di energia dei Bitcoin nel mondo

Ci sono alcuni Paesi in cui fattori economici e politici e condizioni geografiche e climatiche agevolano l’estrazione di criptovalute. Un esempio è l’Islanda. L’Islanda produce quasi il 100% dell’energia da fonti rinnovabili: il basso costo dell’energia, oltre ad un ambiente politico favorevole, spinge la cripto-industria. Genesis Mining vi ha infatti costruito Enigma, una struttura presso Reykjavik per il mining esclusivo di Ethereum alimentata da energia geotermica, che riduce drasticamente i consumi di energia nell'estrazione dei bitcoin.

Un’altra struttura contenente circa 30,000 computer si trova a Blönduós: questo paese è abitato da 900 persone che consumano mediamente 1,500 kWh all’ora, mentre il centro dati ne consuma 32,000. L’Islanda è particolarmente adatta alla cripto-industria anche per il clima freddo, che riduce drasticamente i consumi per la refrigerazione dei componenti elettronici.

Un clima analogo si trova in Siberia: la Russia vede nella Siberia un grande potenziale per le tecnologie digitali proprio grazie al clima freddo e secco, oltre all’energia elettrica a basso costo e all’ottimo collegamento ad Internet garantito dalla dorsale in fibra ottica TEA. Irkutsk è diventato un hub strategico per l’estrazione di criptovalute grazie alle centrali idroelettriche nei pressi del lago Bajkal.

In aggiunta, la scomparsa dalla zona di molte industrie a seguito della caduta dell’URSS ha causato un surplus di generazione che proprio la cripto-industria potrebbe ricoprire. La centrale a carbone locale del gruppo En+ ha addirittura pubblicato un bando di assegnazione ad una società di mining di un terreno all’interno del proprio sito. Anche i colossi energetici Gazprom ed EuroSibEnergo hanno stipulato contratti di vendita di diversi MW a oltre 70 società di mining.

Non il clima, bensì il basso costo dell’energia attira invece le società di mining in Venezuela, dove per estrarre un bitcoin si pagano $531 al mese, contro $14,275 della Germania. Il Venezuela è anche il primo Paese ad aver lanciato una criptovaluta nazionale, il Petro, nel tentativo di creare un bene rifugio contro le sanzioni degli Stati Uniti e la mostruosa inflazione che affligge la moneta nazionale, il Bolívar.

Conclusion

Le criptovalute potrebbero stravolgere il mondo della finanza e apportare un profondo cambiamento sociale. Tuttavia, nel prossimo futuro non si potrà prescindere dall’analizzarne anche l’impronta ecologica in confronto a quella dell’odierno sistema bancario. Tecnologie emergenti, come i computer quantistici, potrebbero essere un punto di svolta per le criptovalute e la blockchain in generale.